Il tesoro della Sierra Madre di B. Traven

“Potrebbe interessarti qualcosa sul desiderio? Intendo desiderio smodato e irrefrenabile” Chi ha parlato si è appena materializzato nella libreria di Novara meta del mio girovagare annoiato a caccia di coinvolgimento emozionale in avventure cartacee. Gli rivolgo una rapida occhiata:  sui cinquanta portati male sfoggia un completo in tweed. Concludo che non possiede fattezze, tono e movenze tipiche di chi è pagato per mollarti un pacco. Tossisce, aspira da una gitanes, trattiene il fumo e mi allunga, utilizzando sapienti polpastrelli ingialliti, l’edizione economica de “il tesoro della Sierra Madre” di B. Traven. Il titolo innesca connessioni sinaptiche capaci di riportare alla mia memoria l’omonimo e ottimo film di J. Houston, proposto, sorprendentemente verso la fine degli anni ’70 dalla RAI post riforma di matrice democristiana, in un ciclo curato memorabilmente da Claudio G. Fava e dedicato a Bogart. L’uomo in tweed  rilancia: “tre amerikani, nel Messico post rivoluzionario e neo colonizzato inseguono il sogno di arricchirsi a dismisura”. Prendo il libro, corro alla cassa e pago. Prima di uscire passo a setaccio la libreria ma non rimane alcuna traccia dell’uomo in tweed,  nessuno lo conosce.

Il libro tratta delle disavventure di tale Fred Dobs, cialtrone ma colpevole solo di vivere nell’illusione di poter sanare con l’oro, il proprio conflitto interiore.  Il lettore è avvisato: solo a colui che saprà superare  la prima parte (un pantano di miseria, sporcizia e umanità allo sbando, dispensate senza badare a spese con realismo stucchevole) il libro apparirà in tutta la sua selvaggia  bellezza. Innegabilmente vintage, ma attualissimo nell’italietta invasa da ultracorpi Vanziniani: il contagio, della febbre dell’oro,  è assicurato.

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